Verso la fine di agosto si stavano esaurendo i turni
di licenza dopo il campo estivo e il gruppo Udine doveva essere operativo in
vista del campo mobile autunnale. Alla fine di Luglio ci eravamo trasferiti
dalla storica caserma Cantore di Tolmezzo , alla Goi Pantanali di
Gemona.
Nelle ultime passeggiate quadrupedi (marce di
addestramento),il maresciallo alle salmerie decise di inserire il mulo Ovidio nella
lista dei muli da someggiare il pezzo (obice 105/14) nei rispettivi 12 carichi.
Fu con grande stupore e forte disappunto che i conducenti, ma anche i serventi
accolsero la notizia,perche Ovidio era lo spauracchio delle scuderie noto
per le sue impennate alle abbeverate e le sue quotidiane scorribande
Dall’alto del suo metro e ottanta al “garrese”e dalla
sua potente stazza,incuteva timore solo una sua scrollata di testa, figuriamoci
il
resto.
Ormai le uscite di addestramento con i muli si effettuavano quasi quotidianamente e pur con
titubanza e molta pazienza Ovidio si prestò ad essere someggiato e una volta caricato non c’era più nessun problema
di tenuta tant’ era forte e resistente.
A tre giorni dalla fine del campo era andato tutto
bene. Eravamo scesi dall’altipiano del Montasio lungo la val Raccolana e ci
accampammo sul greto del Fella nei pressi di Chiusaforte dove passammo la
notte. Approfittammo del centro abitato per goderci una sospirata
libera uscita anche se stanchi dalle marce dei giorni precedenti
.Il giorno prima avevamo tentato naturalmente senza muli di salire sulla
cima dello Jof di Montasio senza riuscirci causa un improvviso
temporale che ci prese proprio sulla cresta sommitale, appena sopra la scala
Pipan.
Al mattino seguente sveglia alle 3, someggio alle
4.30,partenza alle 5, direzione val Resia con scavalcamento a stavoli
Perachiaze.
E’ ancora buio pesto,tra i conducenti regna la
confusione più assoluta ,bestemmie e imprecazioni ,alcuni avevano scambiato il
basto,altri le musette e le pile erano quasi tutte scariche. Noi serventi in
silenzio aspettavamo il nostro turno,eravamo consapevoli della pericolosità del
someggio fatto al buio.
Significava girare le spalle al mulo indietreggiando
con il carico di oltre cento chili sulle spalle fino a toccare il basto
appoggiandovi sopra la punta del carico;a questo punto se il mulo rimane fermo
gli altri serventi completano l’operazione di someggio, se il mulo si
muove si scarica il servente e si ricomincia da capo
Un’operazione di per sè pericolosa con condizioni
normali di visibilità ,immaginiamoci al buio.
Con molta calma e pazienza i muli vengono
someggiati eccetto uno, si sentono le imprecazioni dei quattro
serventi addetti al carico delle ruote dell’obice. Non c’era verso
di caricare Ovidio, ogni qual volta loro si avvicinavano con le ruote il mulo
si spostava.
Sono le 5 passate,il capitano viene di persona a
verificare il motivo del ritardo nella partenza. La 17 è già in marcia, la 18 è
in balia di Ovidio e noi tutti impotenti a guardarlo. Dopo l’ennesima prova, strappo istintivamente dalle
mani del conducente il” filetto”del mulo e tiro, la bestia si impenna, rampa
con le zampe anteriori facendomi sentire l’aria degli zoccoli
in faccia. Appena si abbassa accorcio la presa del filetto fino al” morso “.
Si impenna una seconda volta, rimango attaccato e mi solleva da terra di
un metro e più. Appena metto piede a terra gli rifilo due calci sulla pancia a
pieni ”vibram” con tutta la forza che avevo.
Il capitano, il tenente e il maresciallo
alle salmerie erano ammutoliti. Non sapevano se complimentarsi con me o mandarmi
a “Gaeta”. Forse non era il momento adatto per certe decisioni. Dopo tre minuti
Ovidio era someggiato e il capitano gridò: 18 zaini in spallaaa…18 avantiii..
.
Saluto mancato al comandante di Gruppo.
IL giorno seguente e penultimo giorno del campo mobile
autunnale, la marcia prevedeva un doppio scavalcamento: prima la Forchia ,
brevissima discesa alla testata del Černi Potòk (Rionero)quindi forca
Campidello con pernottamento nei pressi di borgo Pabrunello nell’alta val
Venzonassa. Il giorno dopo termine del campo con arrivo a Venzone e
rientro in caserma a Gemona.
Ci eravamo accampati la sera precedente a borgo
Lìschiazze, a circa 5 km da San Giorgio di Resia, uno dei comuni che
prende il nome da questa valle amena tanto bella quanto sperduta, adagiata al
cospetto del Canin con i monti Sart , Le Babe , iMusi , il Lavara, il
Plauris che le fanno da contorno. Una valle dalla parlata molto strana: nè
Friulano nè Sloveno , forse un idioma Slavo antico, con nomi impronunciabili e
incomprensibili. Queste piccole borgate cancellate quasi totalmente l’anno dopo
da quella subdola e imprevedibile devastazione scatenata dalle viscere della
terra : “La niot dal sis di maj “ (6 maggio 1976).
Sicuramente quello fu il giorno più lungo di tutta la
naia , a metà della salita della Forchia ,stanco per il continuo scaricare e
ricaricare i muli che si buttavano a terra esausti ,rifiatai un attimo
attaccandomi alla coda della Malva che aveva come carico i vomeri dell’obice.
In prossimità di un tornantino stretto , la zampa posteriore destra le scivolò,
lei perse l’equilibrio e precipitò nella scarpata sottostante,cercai di
trattenerla per la coda ,ma dovetti mollare la presa per non rischiare di
precipitare con lei.
Subito mi prese un senso di colpa , ed ero rassegnato
assieme a dei commilitoni di scendere per constatarne la brutta fine. Ci
calammo con difficoltà causa la conformazione del terreno con l’ufficiale
veterinario. La mula aveva sangue su molte parti del corpo, gli occhi sbarrati
e ansimava. D’istinto estrassi il coltello, le tagliai la cinghia del
sottopancia cosi da scaricarle il peso del carico.
Il tenente veterinario le mise la mano sul collo
probabilmente per sentire il battito, controllò le zampe che non avessero
fratture e poi si rivolse a mè tranquillizzandomi: I muli hanno la pelle
dura!
L’aiutammo a rialzarsi ,la mula era ancora
integra, tremava tutta dallo spavento ,piano piano si riportò sul
sentiero e noi a spalle riportammo su i vomeri e li caricammo sul mulo di
riserva.
Erano le quattro del pomeriggio quando passammo a
forca Campidello ,ad attenderci c’era il colonnello comandante di Gruppo. Un
commilitone abbozzò un “attenti a destra “,ma sinceramente non c’era da
parte nostra nè la forza nè la voglia di rispondere a questo “invito”.
Comodi… comodi… riposo… riposo …
Un’ora di discesa verso borgo Pabrunello passando per
casera Ungarina.
L’indomani ( dopo le ultime tre ore di marcia
per arrivare a Venzone ),ci avrebbero aspettato i “ciemme” per
caricare muli, obici e artiglieri e cosi fare ritorno in caserma a Gemona.
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