VOCI DALLA
NAJA
*Al
Gruppo Udine con il 2°88*
del
Cap.le Magg. Franco - BCS 1988
Dopo il canonico periodo per
l’addestramento formale trascorso a Codroipo, sono stato
destinato al Gruppo Artiglieria da Montagna “Udine”
in quel di Tolmezzo alla caserma Cantore, con l’incarico 40/C
Radiofonista. In quegli ultimi giorni trascorsi a Codroipo prima della
partenza per il Gruppo Udine, il motto che ci si sentiva ripetere dal
nostro caporale istruttore era uno solo: “La
caserma Cantore… dove si muore a tutte le ore!”.
A cosa sarei andato incontro? Questo era l’unico mio
pensiero.
Arrivò il giorno della partenza per il 2°/88, verso
la metà di aprile ci venne a prendere una colonna di ACL
degli Autieri di Gemona, perché il resto della brigata e
tutto il Gruppo Udine erano impegnati in una manovra a partiti
contrapposti.
Lungo il percorso non mancò il rituale “salto del
topo”, dove ogni autista di ACL per superare un
attraversamento ferroviario particolarmente ostile, faceva sobbalzare
le reclute sedute nel cassone fin quasi a farle sbalzare dal veicolo.
Giunti a Tolmezzo, la colonna sfilò pigramente davanti alla
cartiera che era disposta di fronte alle salmerie della caserma, dove
un gruppo di conducenti agitando dei forconi ci urlava delle frasi
dall’alto di una catasta di sterco dei muli: “Ehi…!
Arrivano…Arrivano!”. Giuro che lungo la
schiena ebbi un brivido!
Appena entrati dalla porta carraia,
notammo che i “veci” avevano sistemato su una
finestra delle cucine un gatto che miagolava in continuazione: sembrava
ammaestrato!
Gli ACL si disposero sul piazzale e subito ci accolse una schiera
urlante di caporali dalle norvegesi vistosamente rimbeccate, che ci
fece saltar giù dai camion. L’autista del nostro
ACL, che era parcheggiato proprio davanti all’infermeria, ci
disse: “Fioi! …Questa le la Cantore, da
qua no andè pi fora!”. La fifa
aumentò.
Ci divisero per squadre secondo gli incarichi, e ci fecero sfilare di
corsa verso la palazzina delle batterie obici. Salendo le scale vidi
che su ogni scalino erano stati disposti dei pezzi di formaggio. Segno
inconfutabile del nostro destino di
“Topi”….
Entrammo nell’ala sinistra della 17ª batteria e in
parte al piano di sopra nella 18ª, dove fummo rinchiusi a
chiave, a scanso di visite indesiderate. Potevamo uscire solo a squadre
complete e accompagnati da un caporale, soltanto per andare a fare la
doccia o per telefonare allo spaccio.
Sbirciando dalle finestre la caserma aveva un aspetto irreale; era
quasi vuota. Il giorno dopo cominciarono a rientrare le batterie che
erano state alla manovra. La sera per il contrappello passò
il sottotenente Montresor. Noi eravamo sull’attenti davanti
alle brande e…in silenzio assoluto! Entrò in
tutte le camerate e senza dire una parola prima di uscire, si
soffermò a guardarci negli occhi uno per uno.
L’indomani partii con il resto della squadra trasmissioni per
Paluzza, dove ci attendeva il Corso Radiofonisti della Brigata Julia.
Rimasi alla caserma “Maria Plozner Mentil”
aggregato alla 212ª compagnia del Battaglione Alpini Val
Tagliamento per ventuno giorni. Ma lì ero soltanto caduto
come si suole dire: dalla padella nella brace!
Il nove maggio tornai alla Cantore, dove finalmente potei mangiare bene
e molto. Nelle tre settimane trascorse a Paluzza, la mia cintura si
restrinse di quattro buchi. Quello che subito notai a Tolmezzo, era il
clima completamente diverso dalla partenza, tutto era più
disteso e sereno. Fui subito trasferito alla Batteria Comando e Servizi
dove appresi immediatamente e in tutte le sue varianti l’arte
sopraffina della saponata. Il giorno dopo il rientro da Paluzza, mi
attendevano invece tre giorni consecutivi di uscita
d’addestramento allo shelter trasmissioni e come radiofonista
al Centro Tiro.
Qui il mio compito era interessante, insieme con gli altri due
radiofonisti ricevevamo i pacchetti d’ordine dagli ufficiali
osservatori. Negli shelter del Centro Tiro oltre a noi radiofonisti,
c’erano i topografi e gli specialisti al tiro,
c’era poi quasi sempre il vice-comandante del gruppo il ten.
col. Marino Tabiani e il tenente Clementi comandante della 34ª
batteria. Ci fu una cosa che mi colpì molto, appena veniva
trasmesso un ordine che più o meno era quasi sempre
così: “Fuoco di sbarramento-plotone
fucilieri in attacco-direzione-tiro…ecc. ecc.. - Adele,
Bianca, Claudia in azione!”. Bisognava urlare;
urlavo io, urlava lo specialista, urlavano tutti. Poi durante la Scuola
Tiro ho capito perché. Il botto degli obici avrebbe
altrimenti coperto le nostre voci! Adele, Bianca e Claudia erano i nomi
in codice delle batterie nella maglia del fuoco, rispettivamente la
17ª, 18ª e 34ª, Romolo invece era il
nominativo del Centro Tiro. Il nominativo del Gruppo Udine nella maglia
della Brigata Julia era invece “Cervo”. Nei momenti
di attesa tra un pacchetto d’ordine e l’altro,
sentivo spesso il ten. col. Tabiani ripetere: “L’artigliere
deve essere un po’ come il farmacista, deve dosare le cariche
con il bilancino”. Ricordo con molto piacere la
figura del ten. col. Tabiani; un ufficiale piccolo di statura, sempre
cortese e educato con i suoi sottoposti, sicuramente dietro a quei
baffi e occhiali si nascondeva un cuore grande.
Sul finire del mese di luglio fui promosso al grado di caporale, e il
primo servizio che mi fu assegnato fu quello di “graduato
spaccio”, una domenica sera, quando lo spaccio era riservato
soltanto per la “Massima”. Mi feci coraggio, e
all’orario stabilito bussai alla porta che dava sul retro
dello spaccio. Era la prima volta che entravo da solo allo spaccio
della Cantore, dopo quasi tre mesi di permanenza (!). Appena entrato
compilai il registro, mi sentivo come si sente un coniglio nella gabbia
dei leoni…. I “veci” appoggiati al
juke-box mi guardavano ridacchiando, altri se ne stavano seduti al
tavolo a bere le loro birre senza curarsi minimamente della mia
presenza. Ad un certo punto squillò il telefono e lo
spaccista grido: “Graduato
spaccio!…telefono!”. Imbarazzato cercai
di dirigermi verso le cabine telefoniche, ma fui subito richiamato e
diretto verso la cabina singola posta davanti al bancone. “Qui
dentro?” chiesi, “Si,
si!” rispose lo spaccista. Ancora non avevo capito
chi mi cercava, pensai subito a una chiamata da casa. Appena fui
entrato nella cabina dove al suo interno stagnava un fetore
insopportabile perché, ma lo scoprii dopo, era la cabina
destinata ai conducenti muli; due artiglieri girarono la cabina con le
porte verso il muro, e mi lasciarono lì dentro fino alla
chiusura dello spaccio tra sguardi soddisfatti e risate a non finire.
Questo fu il mio primo servizio da graduato.
Ci fu poi il cambio del comandante; durante la cerimonia al ten. Col.
Rinaldo Stratta subentrò il ten. col. Eugenio Carini,
padovano di origini piacentine, già comandante presso la
caserma di Bassano del Grappa.
Fui così destinato ad assumere l’incarico di
radiofonista del nuovo comandante del Gruppo, il ten. col. Carini mi
fece chiamare nel suo ufficio assieme al suo nuovo autista: il caporale
Bacchion. Qui ci spiegò le motivazioni della sua scelta che
era ricaduta su di noi perché entrambi trevigiani, poi ci
disse che da quel momento in avanti eravamo le sue “guardie
del corpo” e dovevamo tenerci a sua completa disposizione.
Eravamo quindi esentati da tutti i servizi, fu così credo
solo per Bacchion, quanto a me la Max aveva già previsto
tutto: siccome non potevo montare di guardia durante i giorni feriali,
tutti i fine settimana mi ritrovavo capoposto al corpo di guardia.
Mentre per i servizi di caporale di giornata o radiofonista di
servizio non c’era problema; potevo farli
regolarmente durante la settimana. Ricordo che un giorno avevo in
carico cinque servizi contemporaneamente: sergente di giornata-caporale
di giornata-radiofonista di servizio-graduato spaccio-NCC. Non fui
esente nemmeno dalle polveriere, che furono quattro. Tutte trascorse
serenamente a Ileggio, tranne una in cui una notte venne a farci visita
un capitano del battaglione alpini Val Tagliamento in giro
d’ispezione.
Per il resto quando non ero impegnato in servizi o uscite, le giornate
trascorrevano tra una saponata e l’altra nei magazzini
“radio” e “filo”. E poi dando
la cera con le pattine, che altro non era che pattina da scarpe
scaldata e tirata sul pavimento come la cera. Interminabili giornate
erano quelle dedicate alla manutenzione del materiale radio, passate a
lucidare i bocchettoni delle RV-3 con il Sidol, a tirare i bastini con
le pezzuole imbevute d’olio oppure a riparare e riavvolgere
le bobine di filo telefonico. Qualche volta la domenica mattina ero
solito recarmi alle salmerie, in quel posto il tempo sembrava che si
fosse fermato. Le stalle, la sala basti, la bottega del sottufficiale
maniscalco, la vasca d’acqua per l’abbeverata dei
muli. Per terra poi sul ciottolato non c’era traccia di
sporcizia, tutto era oserei dire “brillante”,
perfino la catasta di sterco era squadrata con millimetrica precisione.
Dal 16 al 22 settembre ci fu la manovra a partiti contrapposti. Ricordo
che terminata l’esercitazione, la 17ª batteria fu
l’ultima a rientrare alla Cantore. Il comandante di batteria
tenente Paesano, fece schierare sul piazzale di fronte alle sale obici
i mezzi e gli artiglieri, che ancora avevano il volto annerito per la
mimetizzazione. Ma prima di farli salire nelle camerate fece loro
gridare più volte il motto: “…Tigre!
Tigre! Tigre!”.
Promosso caporal maggiore cedetti il posto di radiofonista
del comandante e fui assegnato allo shelter trasmissioni, dove
l’ufficiale addetto era il sottotenente Mazzolini da
Piacenza. La vita piatta e noiosa della sala radio mi portò
a confessare la mia malinconia al s.ten. Mazzolini, che durante un
colloquio di cortesia con il comandante Carini riferì del
mio stato d’animo. Prontamente il comandante mi fece visita
in sala radio, dove mi invitò a caricarmi una RV-3 nello
zaino e a seguirlo per una marcia insieme al cappellano militare del
Gruppo, durante il campo invernale delle batterie. Accettai senza
battere ciglio, partimmo il 23 gennaio 1989 con la AR 72 guidata da
Bacchion verso Sappada, dove una volta raggiunta salimmo con la funivia
fino al rifugio di Sappada 2000. Trascorsi il pomeriggio tra le
tarature della RH-4 della 17ª e le chiacchiere con i miei
ritrovati compagni di squadra: Vuan e Monestier, aggregati
occasionalmente alla 17ª per il campo. La notte ci distendemmo
in sacco a pelo sotto i tavoli del rifugio con gli artiglieri e gli
ufficiali della 17ª. La mattina presto prima
dell’alba, partimmo come apripista verso il monte Lastrone,
precedendo le batterie che ci seguivano marciando in fila come un
serpente nella neve che in qualche tratto arrivava oltre le ginocchia.
Ad un certo punto il plotone Alpieri ci superò speditamente,
carichi di corde oltre che del loro equipaggiamento personale, avevano
il compito di attrezzare l’ultimo tratto prima della vetta.
Qui giunti, ci raggiunse il generale comandante la Brigata Julia
atterrato in elicottero nella piana sottostante. I comandanti di
batteria diedero l’ordine di montare le armi, i Garand,
infatti, erano stati trasportati smontati all’interno dello
zaino per agevolare gli artiglieri durante la marcia. Da uno zaino
uscì fuori anche un sondino da valanga che avvitato
servì come asta per la bandiera. Dopo l’attenti ci
venne ordinato il presentat-arm e furono così accesi tre
fumogeni: uno verde, uno bianco e uno rosso. Fu una
esperienza indimenticabile.
La naja ormai volgeva al termine e la sera del 27 febbraio 1989 dopo la
cena dei congedanti consumata in refettorio, tutti noi del 2°
scaglione 1988 fummo chiamati uno ad uno andando ad inquadrarci sul
piazzale dell’adunata, dove con il consueto rituale fu dato
alle fiamme il gigantesco numero. La festa continuò per
tutta la notte nelle camerate. Il mattino seguente consegnai
l’ultimo equipaggiamento e attesi davanti al mio armadietto
la rivista dell’ufficiale, che mi consegnò il
congedo con tanto di “cartolina rossa”. Poi il
viaggio verso casa.
A distanza di vent’anni da quell’esperienza, in cui
non mancarono episodi anche sgradevoli, ricordo con emozione i volti
dei miei compagni, le marce, la Scuola Tiro, la
“villeggiatura” in polveriera, la manovra Display
Determination, le notti in montagna consumate sulla calda paglia nelle
stalle di Casera Razzo, il profumo del cordiale, le agognate licenze e
le giornate trascorse a fianco del ten. col. Carini, che continuamente
si preoccupava per le sue “guardie del corpo”.
Ricordo le figure degli altri ufficiali: il vice comandante del gruppo
ten. col. Tabiani, il comandante della batteria comando e servizi
capitano Orano e Mancini poi, il comandante della 34ª tenente
Clementi, della 18ª tenente Enturri e della 17ª
tenente Paesano, i sottotenenti Temil, Franceschet, Mazzolini, Della
Rossa, Montresor e Giorgi. Il tenente Geremia e il buon maresciallo
Nardella che cucinava le melanzane per noi, il simpaticissimo sergente
maggiore Paoletti, e poi il trio Pili, Quattrini e Grasnich
insuperabili sottufficiali meccanici. L’affabile sergente
delle armerie Carducci, il mitico sergente Lo Giudice, i sergenti
maggiori Polo, Majorana e Castelli, il sergente Marcheggiani. Il
maresciallo artificiere Vigiano e tutti gli altri.
Tutto questo ora non esiste più, il glorioso Gruppo
Artiglieria da Montagna Udine è stato sciolto, seguendo lo
stesso destino di molti altri reparti. Ma il ricordo di
quest’unità credo resterà scolpito in
maniera indelebile, nel cuore e nella mente di ognuno di noi che ne
facemmo parte e che in guerra o in pace contribuimmo a scriverne la
storia.
Cap.le Magg. De Biasi Franco - 2°/88
Il Cap.le Magg. Franco del
2° 88
I 105/14 del
Gruppo "Udine" in schieramento d'onore